Onorevoli Colleghi! - Con l'entrata in vigore della legge cosiddetta «sblocca centrali», ovvero il decreto-legge 7 febbraio 2002, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2002, n. 55, oltre alla conversione delle centrali elettriche esistenti in centrali a turbogas a ciclo combinato, si è dato il via a una vera e propria installazione di nuove centrali termoelettriche disseminate su tutto il territorio italiano, per fare fronte alla crescente richiesta di energia elettrica da parte del sistema produttivo oltre che dell'utenza civile.
      Questi sistemi turbogas sono alimentati con metano e il loro consumo orario - il dato è riferibile a una singola centrale di 800 MW - si aggira intorno ai 120.000 metri cubi (mc). La forte richiesta di metano che deriva dalle attività di trasformazione delle suddette centrali, ma non solo, ha contribuito al lievitare del prezzo di questa materia prima di stretta necessità, con conseguenti casi di interruzione di produzione di energia da parte delle stesse centrali.
      Ad oggi, la dipendenza dello Stato italiano sul versante dell'accumulazione di gas prezioso per il regolare svolgimento delle attività e della vita quotidiana di tutti i cittadini è un'evidenza che richiama un obbligo di riflessione da parte di tutte le forze politiche di maggioranza e di opposizione: è palese infatti la necessità di un affrancamento da Paesi produttori quali la Russia governata da Vladimir Putin che ogni anno, come fossimo in un gioco, minaccia l'Europa con possibili ritorsioni dal punto di vista della fornitura di metano, che si tradurrebbero, in realtà, in black-out e nella conseguente paralisi di tutta la società. Un legame, quello con la

 

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Russia, di stretta urgenza, appunto, ma che pone seri dubbi e che impone alla classe dirigente italiana uno sforzo titanico per andare oltre l'utilizzo del metano quale combustibile base per la produzione di energia elettrica. Non sono solo questioni economiche ma anche ambientali e sociali, di progresso: in una recente intervista datata 14 gennaio 2007, il candidato alla Presidenza francese, l'allora Ministro degli interni Nicolas Sarkozy, ha fatto una dichiarazione che si pone come una linea politica di tutta l'Europa e che non può non essere presa in considerazione. Riferendosi proprio alla Russia di Putin, il Ministro ha infatti affermato: «Non credo a quella che viene chiamata realpolitik, che fa rinunciare ai propri valori senza ottenere neanche un contratto. Non accetto quello che accade in Cecenia, perché 250 mila morti non sono un dettaglio della storia del mondo (...) il silenzio è complice e io non voglio essere complice di nessuna dittatura». È evidente che il ragionamento effettuato dal probabile successore di Chirac all'Eliseo non rispecchia invece l'atteggiamento degli ultimi governi italiani, di cui l'esecutivo guidato da Romano Prodi è solo un esempio. L'ultimo viaggio in Russia è infatti l'esemplificazione di una dipendenza economica ed energetica che costringe lo Stato italiano a piegarsi al volere di personaggi e meccanismi di potere inaccettabili da parte di una civiltà come quella italiana.
      Vi è poi da sottolineare come giunga imponente da Bruxelles un richiamo forte relativamente alla necessità che gli Stati membri dell'Unione europea sviluppino piani alternativi nella produzione di energia elettrica. Basti pensare alla direttiva congiunta del Parlamento europeo e del Consiglio 2003/30/CE dell'8 maggio 2003 e alla precedente direttiva 2001/77/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 settembre 2001, sulla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità, in cui si chiarisce la necessità di reperire fonti alternative di energia compatibilmente con lo sviluppo dei singoli territori e delle loro peculiarità.
      A ciò si aggiunga anche il regolamento (CE) n. 1782/2003 del Consiglio, del 29 settembre 2003, direttamente applicabile in ogni Stato membro, in cui, negli articoli 88 e seguenti, viene dato risalto al fenomeno delle «colture energetiche», che qui interessano, e si predispone un piano di aiuti economici sotto forma di sussidi: «È concesso un aiuto comunitario di 45 euro per ettaro per le superfici seminate a colture energetiche (...). Si intendono per colture energetiche le colture destinate essenzialmente alla produzione dei seguenti prodotti energetici: (...) biocarburanti (...) energia termica ed elettrica ricavata dalla biomassa (...)».
      Tutto ciò impone, come già affermato, la necessità di sfruttare le intelligenze e le tecnologie che il progresso mette a disposizione. Nella discussione relativa al funzionamento delle centrali in oggetto questo assunto si pone come una pietra miliare.
      Questi impianti nascono come «policombustibili», cioè possono funzionare anche con altre materie che non siano metano: con le opportune modifiche possono infatti bruciare contemporaneamente varie miscele. Un esempio pratico può sgombrare il campo da dubbi obsoleti.
      Una centrale da 800 MW utilizza per il suo funzionamento qualcosa come 2.880.000 mc di combustibile al giorno: oggi questo combustibile è il metano ma potrebbe essere sostituito, ad esempio, con l'olio di colza. Un altro combustibile potrebbe essere l'alcool prodotto dalla macerazione e dai processi biochimici della frutta o verdura in decomposizione: barbabietole, solo per fare un esempio.
      L'ipotesi che qui si vuole sposare è quella relativa alla graduale sostituzione del metano con questi combustibili naturali di basso costo, sia economico che ambientale, con un tornaconto elevato per il sistema agricolo italiano penalizzato fortemente dalla concorrenza europea ed extracomunitaria.
      Nell'arco di un decennio, partendo da percentuali del 90 per cento di metano e del 10 per cento di olio di colza o di alcool, si dovrebbe giungere alla totale
 

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adozione di combustibili naturali e di derivazione agricola.
      Con l'implementazione del progetto europeo di armonizzazione e creazione del mercato unico, l'agricoltura italiana e il sistema dell'indotto sono stati fortemente ridimensionati: nella sola Romagna negli ultimi anni abbiamo infatti assistito alla chiusura di zuccherifici e di aziende agricole, divenuti poco competitivi sul mercato. Ciò che un tempo è stato vanto di un territorio improvvisamente si è trasformato in un «peso» da smantellare con la conseguente perdita di capacità produttiva dello stesso. In quest'ottica si rende necessario uno studio a opera delle istituzioni sulla praticabilità della riconversione degli zuccherifici in impianti di produzione di olii vegetali a fini energetici.
      Nella 4a Conferenza nazionale dell'energia e della tecnologia di Grottammare è emerso che da 30 quintali di semi si possono ottenere 10 quintali di olio vegetale combustibile con un potere calorifico di 8.330 Kcal e 20 quintali di mangime e farina, a seconda dei semi utilizzati. Quanto detto dimostra come siano inutili le paure relative a una produzione agricola a fini energetici: neanche un ettaro di terra infatti verrebbe sottratto alla produzione di prodotti destinati all'alimentazione umana e animale. Anche la Coldiretti ha pubblicato un documento in cui si afferma che la resa media di biodiesel, ad esempio, è di circa 850 kg per ettaro. Dato che un sistema a turbogas da 800 MW ha un consumo di 120.000 mc all'ora di metano, se utilizzassimo olio combustibile vegetale sarebbero necessari 3.542.400 kg al giorno. I MW prodotti in Italia attualmente sono circa 37.970: il consumo presunto di olii vegetali sarebbe di 167.909.760 kg pari a 167.909 tonnellate. Dati che assumono rilievo se confrontati con la capacità produttiva agricola del sistema Italia, pari a 11 milioni di tonnellate annue.
      A tale fine con la presente proposta di legge ci si prefigge di istituire una commissione che si occupi di redigere un piano di fattibilità per l'impiego degli olii vegetali combustibili nelle centrali elettriche a ciclo combinato. Tale commissione è previsto che sia composta da esperti nel campo energetico e agricolo, coadiuvati da rappresentanti delle organizzazioni di categoria, delle aziende produttrici di olii vegetali combustibili e delle aziende produttrici di energia elettrica, e tutto ciò al fine di trarre il massimo beneficio dal coinvolgimento totale delle realtà interessate.
      Altro obiettivo importante che ci si prefigge è quello di garantire un massiccio coinvolgimento del mondo agricolo, già provato dalle recenti crisi del settore saccarifero che hanno portato alla quasi totale chiusura degli impianti italiani, e che necessita, quindi, di una riconversione in settori che possano rendere appetibili nuovi investimenti in agricoltura.
      Altro punto da esplorare e da valutare è quello del recupero e dell'invio alla combustione degli olii vegetali di scarto prodotti dal sistema della ristorazione, anche al fine di evitare che possano finire o in discarica o nel sistema fognario, andando ad aumentare le problematiche ambientali che già hanno assunto una dimensione e un costo sociali che sono a conoscenza di tutti.
 

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